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Il rapporto di lavoro dei calciatori al tempo del Covid19

Può una società decidere unilateralmente di smettere di pagare gli stipendi dei propri calciatori?


Arrigo Sacchi diceva che il calcio è la cosa più importante tra le cose meno importanti.

Con riguardo a questo sport, nelle ultime settimane si è acceso un forte dibattito, relativo al trattamento economico ed agli ingaggi dei calciatori professionisti.

In particolare, numerosi quesiti sono stati posti proprio con riferimento alla situazione eccezionale che ha portato alla sospensione dei campionati.

Ebbene.

Possono i club decidere autonomamente di smettere di pagare gli stipendi dei propri calciatori o è necessario un accordo con gli stessi?

Che risvolti contrattuali potrebbero esserci nel momento in cui i primi e i secondi non trovassero un accordo?

L’attualità ci illustra come la situazione sia stata affrontata in modi molto diversi a seconda dei casi ed a seconda dei paesi.

Ad esempio, in Inghilterra i club della Premier League – massima divisione calcistica d’oltre Manica – si sono accordati per rinviare il campionato, attualmente sospeso, a data da destinarsi e, consequenzialmente, di ridurre gli stipendi per ogni calciatore del 30%.

A seguito dei fondi risparmiati dai club, si è deciso anche di donare 20 milioni di sterline al sistema sanitario inglese e 125 milioni di sterline alle serie minori del calcio inglese, che rischiano fortemente di non sopravvivere dopo l’attuale crisi.

In Italia, al contrario, lo scenario appare un po’ più complicato e trovare un accordo sembra un po’ più difficile.

Nella pratica abbiamo già assistito ad alcune squadre che si sono accordate per un taglio degli stipendi, condividendo le difficoltà dovute alla situazione e dimostrando maturità e unità di intenti, ma, d’altro canto, è, altresì, chiaro che l’accordo in grado di risolvere definitivamente il problema possa unicamente passare da un accordo tra la Lega e l’AIC, che è quell’associazione da molti definita come il “sindacato dei calciatori” e che, per questo, non rappresenta solo i campioni della Serie A, ma anche i giocatori della Serie C, i quali non hanno affatto stipendi faraonici.

Vediamo ora di chiarire quali sono le regole del gioco in Italia.

Anzitutto, nel momento in cui si scrive non è ancora chiaro se i campionati verranno ripresi e conclusi o meno, con evidenti ricadute sugli stipendi dei calciatori.

I vertici del calcio nostrano stanno discutendo di questo ed altro e per il momento si è prospettata la possibilità di riprendere il campionato entro il 20 maggio, al fine di concluderlo entro la fine della stagione sportiva (30 giugno).

Di conseguenza, anche per quanto riguarda la questione relativa agli stipendi dei calciatori i dubbi sono tutt’altro che risolti.

Si sono tenuti alcuni incontri che hanno visto da una parte l’Associazione Italiana dei Calciatori e, dall’altro, la Lega.

Vediamo perché.

I calciatori professionisti hanno un contratto di riferimento (cd. contratto collettivo), le cui clausole sono state preventivamente discusse ed accettate dalla FIGC, dalla AIC appunto e dalla Lega di appartenenza del club (nel calcio italiano, le Leghe professionistiche sono solo 3: Lega Serie A, Lega Serie B e Lega Pro, le quali organizzano i rispettivi campionati e coppe nazionali).

Questo meccanismo consente di velocizzare la contrattazione tra giocatori e club, garantendo maggiori tutele per la parte debole del rapporto ed evitando che ogni volta che un calciatore si lega ad un club la negoziazione avvenga integralmente.

Attualmente sono disponibili i contratti collettivi di Serie B e di Lega Pro, mentre quello della Serie A è un po’ datato.

Ecco perché, da qui in avanti, faremo unicamente riferimento alla Serie A.

Sul sito di AIC è disponibile un modello di contratto collettivo, ormai riferito ad alcuni anni fa, non ancora rinegoziato.

Tuttavia, tale modello viene preso ancora oggi come modello tanto dai calciatori che dai club.

Vediamolo in concreto.

L’articolo 5, co.2 del contratto collettivo prevede che: “la retribuzione, nella sua parte fissa, deve essere corrisposta entro il giorno 20 del mese solare successivo in ratei mensili posticipati di uguale importo e non può essere unilateralmente ridotta o sospesa, salvo quanto previsto dal presente Accordo”.

Nel caso specifico, quindi, i club hanno tempo fino al prossimo 20 aprile per pagare ai calciatori gli stipendi del mese di marzo.

Se entro tale data un club non provvede a saldare il proprio debito con il calciatore, da quel momento comincia a decorrere un ulteriore termine di 20 giorni, trascorsi i quali l’atleta è legittimato ad inviare una comunicazione formale al club (e, in copia, anche alla Lega), a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno e metterlo in mora a pena di risoluzione del contratto, come previsto dall’articolo 13, 1° co.

Procedendo nella lettura, scopriamo che: “la risoluzione del Contratto non può essere pronunciata qualora la Società provveda, entro 20 (venti) giorni dal ricevimento della raccomandata di messa in mora, al pagamento di quanto dovuto, da effettuarsi mediante bonifico bancario sul conto del Calciatore” (art.13, 3° co.).

Ecco che, quindi, si arriva alla conseguenza più grave della risoluzione del contratto con il calciatore nel caso in cui tale termine decorra inutilmente.

A quel punto, difatti: “il Calciatore, per ottenere la risoluzione del Contratto, deve farne richiesta al C.A. entro e non oltre il 20 giugno della stagione sportiva in corso al momento della richiesta di risoluzione”.

Spiegate le regole del gioco, risulta chiaro il motivo per cui gli incontri tra AIC e Lega si stiano infittendo negli ultimi giorni.

Lo scopo è naturalmente quello di risolvere la questione “partendo dall’alto” con una sorta di accordo collettivo ed evitare, così, una lunga estate di contenziosi che complicherebbe ulteriormente il quadro di un calcio che già oggi esce piuttosto malmesso dall’attuale situazione di crisi.

Avv. Domenico Filosa



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