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Meglio "perfetto in ritardo" o "buono in tempo"?

Cosa scegliere tra un lavoro fatto perfettamente, ma in ritardo, e un lavoro buono, e in tempo?


Di Alberto Cantarello, Founding Partner di Athena.

La mia settimana lavorativa inizia sempre con una riunione con tutti i membri del nostro dipartimento.

Un quarto d’ora per pianificare le questioni operative della settimana.

Dieci minuti per riverificare la propria pianificazione settimanale ed il giusto ordine di priorità.

Cinque minuti per darsi cinque obiettivi concreti da raggiungere entro fine settimana.

Infine, un dibattito guidato, ma aperto, su temi di leadership / management / relazionali scelti di volta in volta. Per questa parte non c’è una tempistica predefinita: si va avanti fino a quando non si è trattato il tema, tendenzialmente importante, in un modo che noi stessi riteniamo soddisfacente.

In una delle ultime riunioni ci siamo confrontati su una domanda fatta da una nostra collega: meglio “perfetto in ritardo” o “buono in tempo”?

A posteriori ho poi avuto modo di constatare on-line che questo tema è molto comune, soprattutto durante i colloqui di lavoro; personalmente, però, non mi ero mai fermato a rifletterci in modo compiuto e mi è molto piaciuto il dibattito che ne è nato.

Questa che segue è la nostra conclusione.

Non evangelica.

Non perfetta.

Semplicemente, la nostra.

Smarchiamo in fretta l’ovvietà; la soluzione ideale è: perfetto, in tempo.

Ogni volta in cui si può, ovviamente, il lavoro viene svolto in modo perfetto, ed entro i termini prestabiliti.

Bellissimo ideale.

Poi però esiste la vita reale.

Permettetemi di diffidare di chi affermi di aver sempre e solo fatto cose perfette ed in tempo.

Beati loro, se esistono.

Il vero senso della domanda, la parte che più mi ha affascinato, è collegato alla piena accettazione dell’inesistenza della perfezione assoluta e dalle conseguenze operative.

Se ci si trova a dovere fronteggiare una situazione in cui ci si accorge che non è possibile portare a termine un compito in modo sia perfetto che puntuale, cosa si dovrebbe fare?

La risposta, come a tutte le domande, per me è sempre la stessa: dipende.

In primis, bisognerebbe chiedersi se l’impossibilità a raggiungere entrambi i risultati derivi da una cattiva pianificazione settimanale: non che questo cambi nulla nell’affrontare il caso attuale, ma sarebbe sicuramente un insegnamento da tenere in considerazione per il futuro.

Il secondo passaggio logico a mio avviso dovrebbe essere quello di capire se l’insuccesso derivi da una cattiva attribuzione di importanza ed urgenza alle attività “sopraggiunte” tra la fase di pianificazione della settimana ed il momento di svolgimento dell’attività: anche qui non per trovare una soluzione al caso specifico, ma per trarre una lezione utile per il futuro.

La terza domanda da porsi è: in questo caso specifico “in tempo” da cosa deriva? Da una scadenza tassativa (ad esempio la presentazione di una dichiarazione dei redditi, o la scadenza di un’imposta) o da una promessa fatta ad un cliente?

Nel primo caso, ovviamente non c’è una vera scelta: “in tempo” deve essere rispettato. Punto.

Nel secondo caso, invece, si potrebbe valutare se sia possibile contattare il cliente, esporre la situazione e concordare con lui se sia possibile, o utile, posticipare la “scadenza” per raggiungere il massimo livello di dettaglio.

Anche in questo caso, in realtà, non c’è una vera scelta: la soluzione viene concordata con il cliente.

La quarta ed ultima (per noi: chissà quante altre ce ne sono e potrebbero venirvi in mente!) variabile da considerare è: cosa intendiamo per “perfetto”? 

Di sicuro non è accettabile nulla che non sia almeno a regola d’arte.

Il vero senso della domanda, pertanto, non è “perfetto in ritardo, o pessimo in tempo”: non è in discussione e non deve esserlo mai, un lavoro a regola d’arte.

La vera riflessione sta quindi nello scegliere un punto di arrivo in quella zona che sta tra la regola d’arte e la (presunta, se esiste) perfezione.

La soluzione a cui siamo giunti è che se proprio si deve scegliere, se proprio non si può concordare nulla di diverso, la soluzione migliore sia “buono, in tempo”.

Soluzione supportata anche da una buona dose di riflessione psicologica sulla convinzione che la perfezione non esista e sia, al massimo, un qualcosa a cui tendere.

Sempre perdonandoci il fatto di essere meravigliosamente umani, e quindi meravigliosamente fallibili.

Se qualcuno fosse arrivato fin qui e volesse lasciare suggerimenti o spunti di riflessione nei commenti, io, i miei colleghi e le nostre riunioni del lunedì ne saremmo tutti felici!