Sono stato licenziato: e adesso?!

Il posto fisso per tutta la vita è sempre più una rarità. Cambiare lavoro è qualcosa di molto più comune rispetto a quanto avveniva anche solo pochi decenni fa.

Non sempre, però, questo avviene per scelta del lavoratore.

Il contratto di lavoro, infatti, può risolversi sia consensualmente, sia per la scelta di uno dei due contraenti.

In caso sia il datore di lavoro a risolvere il rapporto di lavoro lo farà con un licenziamento.

La legge prevede tre macroaree per motivare un licenziamento individuale.

Un datore di lavoro, infatti, affinché possa licenziare un lavoratore dovrà motivare il suo provvedimento.

Tali motivazioni possono quindi riferirsi ad un giustificato motivo oggettivo; un giustificato motivo soggettivo o ad una giusta causa.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è adottato per motivi relativi all’attività imprenditoriale in cui il lavoratore presta il proprio lavoro. In concreto le motivazioni possono essere molteplici (ad esempio: una riorganizzazione aziendale, una crisi economico-finanziari che induce l’azienda ad una riduzione dei costi).

La motivazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere sostenuta da una reale necessità di procedere alla soppressione della figura professionale o del reparto cui è addetto il lavoratore.

Le altre due macroaree indicate, quelle del giustificato motivo soggettivo e della giusta causa sono a loro volta comprese nella medesima categoria, quella attinente alla condotta del lavoratore.

Il licenziamento attinente alla condotta del lavoratore è intimato per motivi così gravi da determinare la lesione del vincolo fiduciario che lo lega al datore di lavoro.

Il licenziamento per giusta causa è previsto dall’art. 2119 c.c. e dall’art. 1 L. 604/66.

Questo tipo di licenziamento deriva da un comportamento del lavoratore subordinato talmente grave da non consentire nemmeno la prosecuzione provvisoria del rapporto. Le caratteristiche della giusta causa sono la gravità e l’immediatezza. In questi casi il datore di lavoro può recedere dal rapporto senza preavviso.

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è regolamentato dall’art. 3 Legge 604/66.

Questo tipo di licenziamento deriva, invece, da un notevole e ripetuto inadempimento degli obblighi contrattuali assunti dal lavoratore. Stante la minore gravità di questa motivazione rispetto alla giusta causa, non determina un’immediata cessazione del vincolo fiduciario sottostante il rapporto di lavoro. Pertanto, in questi casi, il datore di lavoro dovrà concedere al lavoratore il preavviso previsto dal contratto collettivo applicato al caso di specie.

Ferme quindi le categorie delle eventuali motivazioni che possono portare ad un licenziamento di un lavoratore vediamo quali possibili azioni può intraprendere un soggetto che è stato licenziato qualora ritenga ingiusto un licenziamento.

In primo luogo, qualora voglia vedersi riconosciuti i suoi diritti, dovrà impugnare il licenziamento.

Il primo atto, quindi, consiste nell’inviare all’azienda una lettera di contestazione della risoluzione del rapporto di lavoro.

Tale lettera deve essere spedita entro 60 giorni da quando si è venuti a conoscenza (formale) del licenziamento.

Questa lettera, c.d. impugnazione stragiudiziale, può essere scritta anche dal lavoratore stesso (il lavoratore potrà comunque delegare un legale o un sindacato). Nel caso di delega la lettera dovrà comunque essere controfirmata dal lavoratore.

In caso di esito negativo dell’impugnazione stragiudiziale, cioè qualora non si venisse reintegrati nel posto di lavoro o non si trovasse un accordo tra le parti il lavoratore potrà impugnare il licenziamento giudizialmente.

In questo caso sarà necessario, tramite un avvocato, depositare un ricorso in Tribunale (nella c.d. Sezione Lavoro) entro 180 giorni dalla spedizione della lettera di impugnazione stragiudiziale.

A seguito di tale deposito si aprirà un vero e proprio processo che vedrà contrapposti il lavoratore ed il datore di lavoro che demanderanno al Tribunale la decisione se il licenziamento posto in essere fosse corretto o meno, salvo che le parti raggiungano un accordo (accordo che potrà essere raggiunto in qualsiasi momento del processo).

Il Giudice al termine del processo emetterà una sentenza che dichiarerà la legittimità o meno del licenziamento. Nel caso dichiarasse la sua illegittimità, a seconda dei casi e delle dimensioni dell’azienda, potrà reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro o condannare l’azienda ad un risarcimento economico.

La reintegra del lavoratore, infatti, è ormai circoscritta a poche fattispecie identificate dalla Legge (a prescindere dai limiti dimensionali dell’azienda in tutti i casi di nullità del licenziamento, perché discriminatorio oppure comminato in costanza di matrimonio o in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità, nei casi in cui il licenziamento sia inefficace perché intimato in forma orale oppure negli altri casi previsti dalla legge).

Negli altri casi in cui il licenziamento dovesse essere ritenuto illegittimo il lavoratore verrà ristorato con un’indennità risarcitoria che dipenderà sia nella singola mensilità presa in considerazione sia nel numero di mensilità riconosciute dal regime applicabile al caso di specie (quando è iniziato il rapporto di lavoro, limite dimensionale dell’azienda, quando è stato licenziato il lavoratore).

Athena Staff