Sport elettronici e videogiochi

I videogiochi fanno ormai parte delle nostre vite da diversi decenni, ma il tempo che i più giovani dedicano quotidianamente aumenta di anno in anno.

Solo in Italia, ad oggi, si stima che vi sia una fanbase di 1.620.000 persone, tra i 14 e i 40 anni, che seguono eventi esports più volte la settimana (con una crescita del 15% rispetto al 2020) (Fonte: “Landscape del settore esports in Italia”, IIDEA, 2021).

Un simile successo può avere differenti spiegazioni, tra le quali la sempre maggiore facilità di reperimento ed utilizzo dei videogiochi, anche cd. free-to-play (vale a dire, giochi che possono essere giocati gratuitamente) e una maggiore visibilità del fenomeno stesso, che ci è data oggi dai social e che tra non molto verrà amplificata dall’utilizzo massivo del/i metaverso/i.

Alcuni videogiochi possono essere giocati anche in maniera competitiva (in quanto sono in grado di creare una sfida tra due contendenti, singoli o organizzati in squadre) e questo ha portato qualcuno ad affiancarli, come concetto, allo sport (in particolare, ai mind sports, come gli scacchi, ad esempio).

Quella parte del gaming che pertanto viene frequentemente definita “esports” o “virtual sports” o “discipline elettroniche” (termini che unicamente per semplicità di lettura di questo articolo verranno qualificati come sinonimi, ma che non lo sono affatto) è di grande interesse per il diritto, in quanto molte possono essere le criticità, ma anche le opportunità per quelli che, in gergo, vengono definiti: “pro-gamers”, i quali sottoscrivono accordi economici con i teams per i quali giocano, contratti di sponsorizzazione ed endorsement e partecipano a competizioni internazionali in giro per il mondo, in arene gremite di tifosi ed accessibili da tutto il mondo, grazie alla rete.

Difatti, in alcuni casi, il fenomeno del gaming si trova ad essere direttamente legato a quello dell’entertainment.

Per un videogiocatore non risulta infrequente, ad esempio, unire alla propria attività competitiva, anche alcune attività tipiche degli influencer e degli streamer (ad esempio, quando si effettuano sessioni di gioco online, l’unboxing di un nuovo prodotto, fino a vere e proprie sponsorizzazioni e attivazioni a vantaggio di terzi).

Questo perché, nel contratto di sponsorizzazione, che è un accordo atipico tra le parti, lo sponsor ha come scopo quello di abbinare la propria immagine, il proprio marchio o un proprio prodotto all’immagine di un personaggio noto.

Spesso dello sport o dello spettacolo, ma sempre più anche del gaming.

Tali accordi, però, sono soggetti a differenti criticità delle quali bisogna necessariamente tenere conto, tanto nella stesura, quanto in fase di esecuzione.

Nel primo caso, l’accordo non deve contenere previsioni che possano – in concreto – farlo considerare assimilabile ad un contratto di lavoro, al di là dello specifico nomen iuris utilizzato dalle parti (si ricorda che l’obbligazione classica che sta alla base di un accordo di sponsorizzazione è pur sempre un’obbligazione di mezzi, e non di risultato).

Nel secondo caso, il gamer (in questo caso, lo sponsee) deve prestare molta attenzione a come vengono presentate al pubblico le attivazioni e i prodotti sui social, con particolare riferimento alle leggi in materia di pubblicità online e alle condizioni d’utilizzo dei singoli social utilizzati.

Tali accordi devono poi essere scritti in modo da risultare coordinati con ulteriori eventuali contratti esistenti, che possono legare il pro-gamer ad un team (il quale può, anch’esso, avere i propri accordi commerciali con società terze).

Da ultimo, una criticità rilevante è quella direttamente legata alla tassabilità dei ricavi derivanti dalla propria attività di gioco e dei relativi codici Ateco che è bene utilizzare nel momento in cui un giocatore discretamente bravo nelle discipline elettroniche scelga di intraprendere la carriera di pro-gamer.

A fronte delle enormi potenzialità del settore, per i giocatori e per le aziende, ad oggi, nel nostro Paese c’è ancora una grandissima mancanza di coordinamento normativo, anche derivante dal fatto che gli sport elettronici – ad oggi – non paiono ancora essere stati riconosciuti come discipline sportive (nonostante diverse aperture più o meno dirette da parte del mondo istituzionale sportivo), con conseguenti criticità in tema di accordi di collaborazione e sfruttamento dell’immagine ed assenza di regolamentazione uniforme in punto standard nazionali ed internazionali su temi fondamentali come il doping, il cheating e il matchfixing.

Avv. Domenico Filosa

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